Morte sul lavoro i diritti degli eredi
I parenti delle vittime da incidenti mortali o infortuni sul lavoro hanno un importante strumento per far giustizia: la richiesta di risarcimento danni, anche se spesso l’inefficienza di un’assistenza legale o la lentezza della giustizia in generale aumentano le possibilità delle compagnie assicurative di non pagare il risarcimento dovuto o di sminuire l’accaduto e accade che non si dia luogo a procedere ma rinunciare ad avviare questa pratica non è un’alternativa.
La legge che ci viene in aiuto è l’art.2 del D.P.R. n.1124/1965 del “TU delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, in cui si dispone che l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni.”. Tra le numerose tutele fornite dall’INAIL (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro), rientra anche quella posta a favore dei familiari dei lavoratori che siano deceduti in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di malattia professionale. In caso di morte sul lavoro ciascuno dei familiari superstiti titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento che è comprensivo del danno da intendersi come, biologico comprende le lesioni psico-fisiche dovute al lutto morale, da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano emotivo e dinamico-relazionale consiste nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiana. A tali soggetti e rincorrendo determinati requisiti, (ne devono essere presenti tre: la causa violenta- l’occasione di lavoro- l’inabilità o la morte), l’INAIL riconosce una rendita.
La rendita viene così calcolata in rapporto alla retribuzione annua del lavoratore deceduto:
50% al coniuge fino alla morte o a nuovo matrimonio;
20% a ciascuno dei figli legittimi, naturali o riconosciuti, adottivi;
40% a ciascun figlio orfano di entrambi i genitori.
In mancanza di coniuge e figli:
20% a ciascun genitore naturale o adottivo;
20% a ciascuno dei fratelli e delle sorelle;
I requisiti e la durata della prestazione per i figli:
fino al 18° anno di età la quota spetta a tutti i figli;
fino al 21° anno di età sono necessari i requisiti della frequenza di scuola media superiore, vivenza a carico e assenza di lavoro retribuito;
fino al 26° anno di età, frequenza di corso normale di laurea, vivenza a carico ed assenza di lavoro retribuito;
maggiorenni inabili al lavoro, finché dura l’inabilità;
totalmente inabili: fino alla morte.
Con la sentenza 29759/2017 , la Corte di cassazione ha chiarito la propria posizione su questo tema in relazione ad un caso che riveste particolare interesse perché insorto nell'ambito di un rapporto di lavoro.La decisione trae origine dal caso di un lavoratore che, dopo aver contratto una malattia nell'ambito dello svolgimento delle proprie mansioni, è deceduto a causa della stessa dopo un "non breve" lasso di tempo. Il riconoscimento dell'esistenza di questo tipo di danno, che è quanto più si avvicina all'inesaudibile richiesta degli eredi delle vittime di vedersi riconosciuto il risarcimento del danno subito dal de cuius a causa dell'evento-morte in quanto tale, ha preso nel corso degli anni le forme del danno morale o biologico.
Spesso il risarcimento è stato negato a fronte dell'inesistenza o eccessiva brevità del lasso di tempo tra 'incidente e il decesso. Ora la Corte di cassazione, a fronte delle obiezioni da parte dei giudici di merito, circa la prova delle condizioni del lavoratore tra la malattia e il decesso, ribadisce in modo netto che "nessun danno alla salute è più grave per entità ed intensità di quello che, trovando causa nelle lesioni che esitano nella morte, temporalmente la precede. In questo caso, infatti, il danno alla salute raggiunge quantitativamente la misura del 100%, con l'ulteriore fattore "aggravante", rispetto al danno da inabilità temporanea assoluta, che il danno biologico terminale è più intenso".